Ecco la lettera che ho inviato per denunciare quanto, in questi anni, sta accadendo al Museo delle Civiltà di Roma,
facendo mio l’appello della CIGL Roma e Lazio che più in basso potete leggere assieme al Comunicato Stampa.
Questo il mio intervento come antropologo che cerca di rompere il silenzio generalizzato su questa gravissima situazione.
A breve il mio intervento da cantastorie!
Roma, 3 marzo 2024
Mauro Geraci
Appello CGIL Roma e Lazio
Comunicato Stampa
Museo delle Civiltà?
La politica dirigenziale messa in atto all’interno del Museo delle Civiltà negli ultimi due anni, camuffata da operazione di riscrittura della storia (processo sempre assai delicato) all’insegna di un vago quanto velleitario politically correct, si è tradotta nei fatti in un costante tentativo di occultare l’importante patrimonio materiale e immateriale presente nel Museo, così come le culture e i processi culturali che esso testimonia e si può ormai dire, ha testimoniato.
Il rinnovamento dell’intera ossatura museale è realizzato attraverso il ricorso all’arte contemporanea, che formalmente doveva essere soltanto una nuova modalità espressiva correlata al discorso museale, e in realtà sta avviluppando e soffocando le collezioni, nonché i temi e i linguaggi dell’antropologia, dell’archeologia e più in generale della scienza, divenuti ormai un semplice scenario, un’ambientazione per esercizi di stile.
La marcata tendenza iconoclasta verso il passato del Museo (che ricordiamo è composto da sei musei distinti ai quali ora si è aggiunto anche il Museo degli Strumenti Musicali di Santa Croce in Gerusalemme) e verso i suoi fondatori, la volontà di cancellare le memorie e le identità vive e forti all’interno dell’istituzione, l’azzeramento dei programmi di ricerca scientifica e formativa, appiattendo la politica culturale del Museo tutto sotto la scure dell’arte contemporanea e sulla base di prese di posizione tanto ideologiche quanto vaghe, figlie di mode passeggere, che stanno mettendo a rischio l’esistenza stessa del Museo delle Civiltà.
Le figure di Pigorini, di Loria, di Tucci, di Toschi e di tutti i grandi studiosi e ricercatori che hanno contribuito alla crescita e allo sviluppo dei vari musei ora nel Museo delle Civiltà nel corso dei decenni sono ormai messe al bando, e le sale espositive sembrano essere diventate una palestra per la cancel culture italiana. La narrazione ideologizzata delle collezioni attribuisce al passato un acritico valore negativo, decontestualizzando teorie, fatti storici e percorsi scientifici.
La cancellazione del passato è evidentemente lo strumento che il potere, espresso dall’attuale dirigenza, utilizza per occultare memorie, conflitti, ferite e identità, operazione necessaria per dare vita a un Museo il più possibile vuoto, senza nome e identità, in cui è più facile radicare le molto più remunerative mode legate all’arte contemporanea che spesso si confonde mimeticamente all’interno dei percorsi museali, generando confusioni e illeggibilità dei processi culturali rappresentati da queste importanti, non solo a livello nazionale, collezioni museali. Prova ne è che un recente decreto ministeriale alla voce “Museo delle Civiltà” associa solo il “Palazzo delle Scienze e il Palazzo delle Arti e Tradizioni popolari”, come se i musei Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini, Nazionale di Arte Orientale Giuseppe Tucci, Nazionale Arti e Tradizioni Popolari, Alto Medioevo, ex Museo Coloniale, Nazionale di Geopaleontologia Quintino Sella e ora anche il Museo Nazionale degli Strumenti Musicali (una delle più importanti collezioni di strumenti musicali del mondo, anch’esso destinata alla de-nominazione?) fossero solo i palazzi piacentiniani dell’E-42, peraltro non di proprietà dello Stato ma dell’INAIL.
Del resto, il business dell’arte contemporanea è senz’altro più redditizio sul fronte degli investimenti economici, esclusivamente gravanti su fondi pubblici in quanto gli introiti sono modestissimi (paragonabili al fatturato annuo di un piccolo esercizio commerciale di periferia) e completamente assenti gli investitori privati. Un bilancio che dovrebbe essere deficitario come quello dei visitatori del Museo delle Civiltà, ma che a giudicare dalle sempre più numerose installazioni esposte, e allo spazio orami pervasivo occupato dalle mostre personali di artisti, fa ritenere importanti investimenti economici del Museo, nel quale devono girare parecchie risorse pubbliche. Appare invece interrotta la proficua stagione di mostre archeologiche, antropologiche e scientifiche che si sono susseguite per tanti anni al Museo, così come le tante attività a esse collegate che legavano questi musei ai comuni visitatori come e agli studiosi
Questo processo di falsa contemporaneizzazione, intesa non come attualizzazione di questo Museo – che si ripete e sottolinea è un’istituzione pubblica, statale – ma come semplice orientamento verso l’arte contemporanea, fondato una supposta visionarietà, sta determinando lo smantellamento di un’istituzione nata per la valorizzazione di preziosi patrimoni, testimonianze delle diverse identità e memorie. Da quello che poteva divenire un Museo dei Musei, con una incredibile “offerta” e esperienza culturale e artistica, si è precipitati in un processo, probabilmente temporaneo e opportunistico, che comincia chiaramente dalla “colonizzazione” degli ingressi dei palazzi con istallazioni dalla difficile interpretazione e allestimenti “metodologici” che ammiccano esclusivamente a estetismi formali, rappresentazioni estetiche di un compiacimento verso un presunto “vintage” che interpreta le collezioni conservate, scollegato e disarticolato dal contesto e che finisce per perdersi e rappresentarsi in una sorta di esibizione in chiave kitsch dell’occultamento della memoria, anche nelle sue contraddizioni, attraverso la rappresentazione esclusivamente interpretativa, se non ideologica, delle collezioni museali archeologiche, scientifiche, demoantropologiche e perfino geologiche e ambientali, in una continua confusione di piani e livelli, opere artistiche che sembrano reperti, reperti che si trasformano in opere artistiche, in modo disordinato e tutt’altro che “pedagogico”.
Il Museo nel suo complesso è certamente destinato ad una importante attualizzazione dei percorsi museali e delle strategie di comunicazione e gestione in grado di riportarlo al centro del dibattito pubblico e indirizzarlo in un prossimo futuro anche in un consesso internazionale sui tanti temi proposti dalle stesse collezioni e verso il salto nel mondo tecnologico-digitale. Tuttavia, oggi si ritrova solo a parodiare la modernizzazione delle sue strutture e delle finalità istituzionali, a tutto vantaggio di un numero limitato di artisti e curatori d’arte contemporanea, lasciando totalmente in secondo piano anche il centrale problema della tutela dei beni e delle collezioni, così come la loro valorizzazione e fruizione, e anche rischioso sotto il profilo della conservazione dei reperti, che niente ha a che fare con l’opportuna attività scientifica di documentazione, ricerca e divulgazione e costante interpretazione del patrimonio culturale pubblico, nell’ottica democratica di apertura alla partecipazione dei cittadini e delle comunità.
La censura dei nomi dei fondatori e delle identità dei singoli musei che compongono questa immensa collezione pubblica di milioni di reperti, biblioteche, archivi documentari e fotografici di inestimabile valore per la nostra cultura e per le comunità che si sentono in essi rappresentate è un passaggio solo in apparenza superficiale e casuale e può causare un danno irreparabile.